Ho vissuto la mia infanzia e il tempo del gioco per lo più in appartamento, essendo nato e cresciuto in un quartiere di Torino stretto tra i grandi viali trafficati e senza spazi verdi nelle immediate vicinanze. Non so dire come gli altri bambini nati in città abbiano elaborato la loro infanzia. Per me vivere negli interni casalinghi è stato un ottimo concime per far crescere il germoglio della fantasia. Non c’era cameretta angusta che non potesse trasformarsi in un galeone dei pirati o in una savana dove poter avvistare leoni e bufali. Bastava usare l’immaginazione e, con mio fratello e altri amici che passavano i pomeriggi invernali a giocare con noi, riuscivamo a trasformare le pareti di casa in spazi ampi e inesplorati. Interpretavamo i personaggi che più ci affascinavano: esploratore, zoologo, supereroe, circense e poi gli animali, in quantità, nei quali ci trasformavamo con l’immaginazione. Questa era la mia realtà, un sogno ad occhi aperti.
L’importanza del parco urbano per la relazione con la natura
Per noi bambini di città la possibilità di relazionarci con la natura era costituita per lo più dai parchi urbani. Gli alberi e i grandi arbusti più accessibili erano di grande ispirazione e rappresentavano un importante spunto di gioco. Potevamo arrampicarci, esplorarli, usarli come scenografia di giochi di immaginazione. Sentivo un forte legame con la natura; e le piante erano lì, a portata di mano. Io, senza sapere ancora di essere un bambino rampante, quasi venuto fuori da un racconto di Calvino, volgevo lo sguardo verso le chiome, inconscio del fatto che in età adulta avrei maturato una vera e propria febbrile passione per il mondo vegetale.
L’albero gigante
C’era poi un albero che scatenava la mia più sfrenata fantasia. Questa pianta non solo rappresentava, per me bambino, l’avvicinarsi a un mondo altro, esotico e lussureggiante, ma stava anche ad indicare il tempo migliore dell’anno: la vacanza. Si trovava nel giardino condominiale della casa che fu dei miei nonni, a Sanremo. La sua maestosa imponenza mi faceva sentire ancora più piccolo (del resto, la chioma superava i venticinque metri d’altezza!). Le grandi foglie, coriacee, sempreverdi, oscuravano la luce del sole estivo creando un’ombra fresca e invitante. Ci si sentiva protetti, al sicuro, sotto i suoi rami. La massa grigia, pachidermica, del tronco e dell’impalcatura sembrava colare a terra in pesanti radici deformate che ricordavano onde di cemento fresco induritosi a contatto col suolo. Mi sembrava che la pianta coprisse tutto: il pavimento di piastrelle, i cordoli delle aiuole che ricordavano colonne, i gradini. Come in un antico tempio della Cambogia, l’architettura veniva ricoperta, schiacciata, strangolata dall’esuberanza della natura. Le radici si srotolavano anche dall’alto, in una miriade di getti che parevano spaghetti. Erano aeree, mostruose, pendule; formavano dei fasci che, arrotolandosi su loro stessi, prendevano le sembianze di una proboscide. E poi tutti quei piccoli frutti duri, tondi facevano un rumore, quando toccavano il suolo cadendo dalle alte fronde, che in certi periodi dell’anno ricordava una rada pioggia di grandine. Ero sopraffatto. L’impatto emotivo che questa mastodontica pianta esercitava su di me superava di gran lunga quello di qualunque altra io avessi mai visto.
Si trattava di Ficus macrophylla Desf. ex Pers. (Moraceae), anche conosciuto come Ficus magnolioides e come Fico della Baia di Moreton, una specie originaria dell’Australia subtropicale, importata in Italia nell’Ottocento a scopo ornamentale. Il nome di Ficus magnolioides deriva dalla somiglianza delle sue foglie (dalla forma ovale-ellittica, talvolta oblunga) con quelle della Magnolia grandiflora, lucide e verde scuro sulla pagina superiore, bruno-argentee su quella inferiore.
La Liguria di ponente e i Ficus macrophylla: un legame ambientale inscindibile
Ho la fortuna di poter osservare ancora oggi questo magnifico esemplare cresciuto nel giardino condominiale della casa di famiglia, e di conoscerne, almeno sommariamente, la storia. La città di Sanremo nell’800 e nei primi anni del 900 era votata a un turismo elitario, internazionale, composto in particolare dai nobili russi e da quelli inglesi che qui dimoravano in sontuose ville con parchi mediterranei di gusto esotico, com’era in voga in quel periodo. Come molte zone della costa italiana dal fiorente passato turistico, anche Sanremo ha vissuto un boom edilizio a cavallo degli anni 50 e 60 del 900. Così, dopo due guerre, alcune di quelle ville, ormai in stato di abbandono, sono state travolte e abbattute dalla febbre edile, spesso senza tener conto del territorio e del paesaggio. La stessa sorte è toccata a certi parchi privati, che sono stati eliminati per far spazio alle palazzine. Altri, invece, sono stati salvati, almeno in parte, attraverso interventi edilizi più attenti, che li hanno inglobati nel verde esistente: è la sorte più fortunata toccata anche al “mio” esemplare centenario di Ficus.
Il Ficus macrophylla è riuscito ad acclimatarsi perfettamente nella provincia di Imperia dove è presente, coltivato, in diversi esemplari monumentali sia in giardini pubblici sia in quelli privati. Due esemplari su tutti, che hanno raggiunto dimensioni ragguardevoli, sono quelli di Bordighera, alla Spianata del Capo, uno dei luoghi più facilmente accessibili dove poter osservare questa specie. A Sanremo si possono trovare alcuni grandi Ficus macrophylla nel parco pubblico di Villa Ormond, in particolare nella zona dietro il Palazzo di Giustizia. Anche nell’affascinante e decadente quartiere storico denominato La Pigna, nel cuore della città di Sanremo, spicca un grande albero inserito in un ambiente davvero suggestivo. A chi fosse interessato a organizzare passeggiate botaniche proprio alla ricerca di questi grandi esemplari di Ficus, segnalo il libro di Tiziano Fratus e Marco Macchi, Itinerari dei Ficus della Baia di Moreton a Sanremo e Bordighera (Imperia, Edizioni Strade, 2011).
Il Ficus macrophylla non è presente solo nella Riviera di Ponente. A Palermo, in Sicilia, esiste uno degli esemplari più grandi in tutta Europa di questa specie: un vero colosso, piantato nel 1863 in Piazza Marina, nel Giardino Garibaldi, che oggi occupa quasi tutto lo spazio della piazza.
La potenza distruttrice di una pianta
E’ risaputo che, con le sue profonde e tenaci radici, il Ficus macrophylla nel tempo può danneggiare impianti, tubature e strutture architettoniche, se viene messo a dimora troppo vicino alle abitazioni. Probabilmente nell’ottocento chi ha progettato l’inserimento di esemplari di questa pianta nel paesaggio urbano non poteva immaginare che alcuni sarebbero diventati tanto giganteschi.
Dal mio punto di vista, sempre dalla parte della natura, quasi gioisco della crescita spropositata di questi alberi, nonostante il fatto che un giorno potrebbero creare problemi anche alla casa della mia famiglia. Diventare enorme, imbarazzante, mi sembra una rivincita della vita che certo non si ferma di fronte ai limiti imposti dall’urbanistica.
Una pianta ecosistema
D’inverno, gli storni – uccelli che formano stormi di centinaia di individui e all’imbrunire disegnano nei cieli delle nostre città mediterranee meravigliosi giochi e acrobazie in volo – a Sanremo trovano rifugio sui Ficus macrophylla di fianco a casa. Lo spettacolo è meraviglioso, emozionante e a volte spaventoso perché il battito delle ali di mille uccelli può sorprendere mentre si sta tranquillamente seduti sul balcone. Quest’albero gigante ospita uccelli, insetti, lucertole e gechi creando un meraviglioso ecosistema verticale.
Pianta speranza
Il mio ricordo più bello legato al Ficus macrophylla risale, ancora una volta, all’infanzia: nel caldo della controra estiva, quando gli adulti si godevano il meritato riposo, io mi rifugiavo in giardino con mio fratello e altri ragazzini. Sotto le fronde dei Ficus, non ci sembrava più di essere a Sanremo: iniziava il tempo del gioco più libero, quando ci ritrovavamo sperduti su un’isola tropicale circondata dagli squali, nel profondo della giungla equatoriale, e interpretavamo personaggi inventati per dare sfogo alla nostra creatività. Ci divertivamo moltissimo.
Mi auguro che questo piccolo giardino condominiale, dalle apparenze tanto esotiche, possa continuare a esistere e che lo stesso valga per tanti altri spazi verdi pubblici e privati; che le politiche urbanistiche continuino sempre più a contemplare una percentuale di verde pertinente agli stabili edificati; che i Ficus macrophylla di Sanremo, quelli di Bordighera e di Palermo, possano continuare ad essere curati e mantenuti e che possano rappresentare per altre persone un prezioso patrimonio vegetale che regala meraviglia, ombra, fresco e riparo. Infine, spero che i bambini non smettano di trovare nella natura un punto di partenza per sviluppare la propria fantasia, per coltivare la sensibilità e imparare la gratitudine nei confronti delle piante, anche nel cuore della città. Io mi impegnerò in prima persona per far sì che tutto ciò avvenga.
2 risposte a “L’albero gigante e il bambino”
Bellissime riflessioni e ricordi di una infanzia che solo chi come noi è avanti con gli anni, ha avuto la possibilità di godere, senza cellulari e social che ci distraessero, rendendo le nostre giornate felici e prive di noia. I bimbi di oggi sovente non sanno arrampicarsi su una pianta è si relazionano su internet: che tristezza!!
Grazie mille Claudia.
Anche io ricordo con piacere persino i momenti di “noia”, momenti non riempiti da tutto ciò che oggi sembra indispensabile, momenti preziosi per dare spazio alla creatività e all’osservazione dell’ambiente circostante (meglio se naturale).