Vi è capitato di sentir nominare la parola “resilienza” ultimamente? Che cos’è la resilienza? Per chi ancora non ne avesse sentito parlare si tratta della capacità di resistere e reagire alle difficoltà della vita, mettendo in atto svariate strategie. Fondamentalmente per noi esseri umani è una questione di atteggiamento mentale volto a ottimizzare e sfruttare anche i momenti peggiori trasformandoli in opportunità.
Alla base di tutto questo c’è una questione che non si può tralasciare, ossia che la resilienza è strettamente legata all’adattamento, utilizzando un termine caro a Darwin.
Prima di scrivere questo breve articolo mi sono chiesto se parlare di resilienza rispetto alle piante non fosse del tutto corretto. Mi sono anche detto, con una certa incredulità, che magari sarei stato uno tra i primi a fare un parallelismo di questo tipo. Ma poi dopo aver effettuato una ricerca bibliografica ho trovato due precedenti illustri in Italia che hanno utilizzato questo termine proprio associandolo al mondo vegetale.
Stefano Mancuso, in primis, nel suo libro “Verde Brillante” che parla di intelligenza delle piante (testo che moltissimo ho amato, grazie al mio amico Mauro per avermelo regalato). Parla di resilienza anche Annamaria Testa sul suo blog Nuovo e Utile con la presentazione del suddetto libro di Mancuso. Per usare sue parole: “Se sei radicato e non ti puoi muovere devi essere davvero resiliente”.
Scopro inoltre che il termine resilienza è stato usato per la prima volta in ambito botanico/biologico, negli anni 70, da Crawford Stanley Holling, ecologista canadese.
Sento dunque di poter applicare con libertà il termine resilienza anche al mondo vegetale, e di sostenere che le nostre amiche piante hanno molto da insegnarci rispetto a questo argomento.
L’ Alyssum maritimum, profumatissima erbacea perenne tipica della flora mediterranea, è sempre stata una delle mie piante preferite. Così ho deciso di seminarla e di curarla in vaso, sul mio terrazzo esposto a sud, come se si trovasse in una nicchia riparata, tiepida e luminosa. In quell’angolo soleggiato si è trovata benissimo, regalando una fioritura ininterrotta ormai da molti mesi, nonostante la neve e le gelate notturne. Adattabilità, resilienza della pianta e buona fortuna mia sono stati gli ingredienti di questa buona riuscita floreale.
Se volessimo fare un esempio di resilienza possiamo pensare alla nostra capacità di rimanere a lungo in una condizione ambientale difficile, inquinata, rumorosa e ostile che ci crea molto stress e fatica. Noi siamo forniti di un paio di gambe e quando una condizione è intollerabile ci possiamo allontanare di gran lena, ma può capitare che per svariati motivi, pur tollerando a mala pena il disagio, siamo costretti a dover restare. A quel punto entra in gioco la resilienza. La capacità di resistere trovando piccole valvole di sfogo e persino di ribaltare la situazione a nostro vantaggio riuscendo a fare una vera e propria rivoluzione individuale. Noi esseri umani talvolta siamo proprio costretti a lottare per rimanere lì dove siamo, nel qui e ora, e dare il meglio di noi.
Se spostiamo l’attenzione sulla capacità di rimanere fermi nel mondo vegetale, mi viene da sorridere, anche perché le piante resistono a condizioni disagevoli che per noi umani sarebbero davvero proibitive. Le piante, pur essendo in grado di compiere dei movimenti, non hanno la possibilità di abbandonare velocemente un luogo per allontanarsi da un pericolo, per cui sviluppano strategie di resistenza al danno, di adattamento, tali per cui sono addirittura capaci di rinunciare ad una “parte del loro corpo” nel caso venisse brucato da qualche animale, bruciato dal fuoco o sommerso dall’acqua, riuscendo comunque a sopravvivere e tornare a crescere rigogliose.
A “quanta parte di noi” siamo in grado di rinunciare per affrontare il cambiamento o un momento di grande difficoltà? Quando parlo di parti di noi cui possiamo rinunciare mi riferisco ai modi di pensare, abitudini, oggetti e/o affetti cui siamo legati e nei confronti dei quali abbiamo sviluppato attaccamenti. Riflettiamo e osserviamo il modo in cui le piante vivono leggere e libere, semplicemente utili a loro stesse e in perfetta simbiosi con l’ambiente circostante.
Superare un trauma senza perire, riuscendo a reagire con capacità di adattamento: questo è un punto fondamentale della resilienza vegetale.
Mi sembra emblematico il caso di resilienza delle piante dei viali cittadini, sottoposte ad alte concentrazioni di inquinanti che occludono gli stomi rendendo difficoltoso il processo di fotosintesi clorofilliana. Ebbene, ci sono delle piante che resistono perfettamente a questo attacco dell’esterno e che riescono a filtrare molte sostanze inquinanti, producendo in cambio il prezioso ossigeno.
Platanus occidentalis ha, per esempio, questa grande capacità adattativa e di resistenza agli agenti inquinanti. Soprattutto i grandi esemplari con chiome maestose riescono ad abbattere grandi quantità di anidride carbonica e di polveri sottili grazie alle foglie larghe e alla capacità autopulente (il rinnovo della corteccia). La città di Torino, tristemente passata alla cronaca proprio quest’autunno per gli altissimi livelli di inquinamento atmosferico, è fortunatamente caratterizzata dalla presenza di questi grandi alberi nei corsi e nei viali, che contribuiscono a renderla un ecosistema maggiormente resiliente.
Non solo i grandi alberi contribuiscono alla fitodepurazione dell’aria, infatti l’edera (Hedera helix), una delle piante più comuni, che spesso ci troviamo a estirpare con costanza dai nostri giardini, è una delle piante con maggior capacità di assorbimento di taluni inquinanti quali il benzene. Le caratteristiche dell’edera la rendono una campionessa vera e propria nel campo della resilienza, infatti pur essendo amante di terreni umidi e della mezz’ombra, resiste a condizioni di prolungata siccità, alte temperature e gelo mantenendo la sua bella forma ornamentale nonostante i patimenti.
Non è solo l’inquinamento a mettere alla prova la vita delle piante. Il caldo, la forte insolazione, gli incendi, il freddo intenso, le gelate notturne, la forte escursione termica e altre avversità climatiche quali nubifragi o siccità prolungata, sono tutti elementi che mettono in gioco la resilienza delle piante e anche quella di noi esseri umani a dirla tutta…
C’è un fattore che forse noi sottovalutiamo. Le piante non hanno il nostro problema di dover pensare, di doverci focalizzare sulle possibili soluzioni per gestire i problemi; esse sanno perfettamente quello di cui hanno bisogno e vanno dritte al punto senza perdersi nei pensieri, questo perché il loro sistema “cognitivo” è basato su sensi che non sono in alcun modo mediati dal divagare della mente.
Non si può certo dire che la mente sia un intralcio nei momenti di difficoltà, anzi per noi umani gioca un ruolo di primaria importanza nella gestione dei problemi e nella manifestazione della nostra resilienza; ovviamente dipende da come la utilizziamo. Siamo in grado di trovare uno stato di calma di fronte alle avversità e mettere in atto le giuste strategie per affrontarle? (A questo proposito faccio riferimento al post “Le 7 abitudini delle persone resilienti” di Marco Bonora sul blog di Accademia della Felicità).
Le piante, non avendo la mente, mettono in atto strategie di resilienza in maniera innata; per tutti gli esseri viventi, noi compresi, la capacità di vivere le difficoltà dell’ambiente cercando in tutti i modi di adattarvisi è una questione evolutiva. Potremmo ricordarci di questo, decidendo di affidarci con maggior slancio alle nostre capacità resilienti naturali, proprio come ci insegnano le piante.
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4 risposte a “La resilienza delle piante”
Weigela florida e h2o.Che bellezza.Grazie per tutto l’articolo.
Grazie a te Mauro, per la tua amicizia.
Ciao, Paolo! Buon 2018 🙂
Grazie mille Claudio anche a te! Ti auguro un anno da vivere con gioia e forza! E me lo auguro anch’io!